giovedì 10 gennaio 2013

Berlino, affari e tabù: l’euro forte un dogma intoccabile per colpa di Hitler


Quando si parla di possibile separazione dell’euro fra debole e forte, spunta regolarmente qualcuno che, con l’aria di chi ha capito tutto, ti spiega che i primi a non avere convenienza sono i tedeschi, che vedrebbero apprezzare fortemente la loro moneta e, con ciò, comprometterebbero le loro esportazioni verso l’area dell’euro debole e gli Usa; morale: tutto resterà come è. Lasciamo stare per un momento il “tutto resterà come è” e chiediamoci se questa convinzione di una moneta non troppo forte per esportare corrisponda alla realtà ed alla percezione che i tedeschi hanno della faccenda. In effetti, la Germania è paese manifatturiero ed esportatore, per cui, in teoria, avrebbe tutta la convenienza ad avere una moneta debole per rendere competitive le sue merci. Però questo ragionamento è troppo schematico e non considera altri aspetti della questione, sia in termini oggettivi che soggettivi, che invece ci sembra opportuno prendere in considerazione.
Primo. La Germania non è solo paese esportatore ma anche importatore, soprattutto di materie prime da trasformare e di prodotti di altri paesi e Wolfgang Schäuble, il super-ministro della Merkelovviamente ha interesse a pagare il meno possibile quel che compra e a farsi pagare al prezzo più alto possibile quel che vende. Come qualsiasi studente di economia del primo anno sa, il “punto di Cournot” (cioè il punto in cui si realizza il maggior profitto possibile) è quello in cui è possibile vendere la maggior quantità di merce possibile al prezzo più alto possibile. Per cui, in una scala da 1 a 10 di pezzi venduti e da 1 a 10 del prezzo unitario per pezzo, il punto di maggior convenienza non è il prezzo più basso (1 euro) con la vendita di 10 pezzi ed un ricavo di 10 euro, e neppure il prezzo più alto 10 euro e la vendita di un solo pezzo, con un ricavo, parimenti di 10 euro. Il rapporto migliore è vendere 5 pezzi ad un prezzo di 5 euro, che darebbe un ricavato di 25 euro. Quindi la moneta forte, a determinate condizioni, è quello che consente il miglior rapporto fra prezzi e merci vendute ed è tale da rendere attiva la bilancia commerciale.
Secondo. I prodotti tedeschi hanno una elevata appetibilità sul mercato internazionale, essenzialmente per la loro elevata qualità tecnologica, che rende il loro acquisto non comprimibile oltre un certo livello. Si pensi all’acquisto di macchine industriali: in teoria un prezzo più vantaggioso dovrebbe spingere l’acquirente a preferire l’offerta di un concorrente, anche se il prodotto fosse di qualità tecnologica poco inferiore. Ma, in realtà, questo potrebbe significare maggiore deperibilità o rischio di più rapida obsolescenza del macchinario o minore produttività, e questo costituirebbe uno svantaggio rispetto a concorrenti che preferissero la migliore tecnologia tedesca. Sul lungo periodo, preferire una tecnologia acquistata a buon mercato, ma meno avanzata, determinerebbe un declassamento dell’azienda che
avesse fatto questa scelta, avviandola verso la marginalità di mercato. Dunque, il rapporto qualità/prezzo, nel caso tedesco consente prezzi più alti, anche se non oltre i livelli di ragionevolezza economica. In altri termini: una moneta più debole – e, di conseguenza, dei prezzi più bassi delle merci tedesche sul mercato internazionale – difficilmente provocherebbe un aumento di vendite tale da compensare la perdita del Vladimir Putinmargine di guadagno per pezzo, perché il mercato già assorbe una quantità elevata di quelle merci ai prezzi attuali.
In terzo luogo, la Germania ha condizioni di mercato più favorevoli di altri per la sua particolare posizione geografica e per la struttura della sua economia. La Germania ha un vicino che è il suo esatto complementare, la Russia, ricchissima di materie prime, ma povera di cultura manageriale, debole tecnologicamente, con una rete infrastrutturale pietosa e limitate riserve finanziarie. I tedeschi, al contrario, sono poveri di materie prime ma ricchi di tecnologia, riserve finanziarie e cultura manageriale. Dunque l’attrazione verso est è nei fatti, prima ancora che nei progetti, e costituisce una formidabile carta di riserva al probabile indebolimento dei mercati dell’Europa meridionale e della Francia. E la moneta forte non è un impedimento in questo senso: anzi permette di comprare a prezzi buoni le commodities russe consentendo a Mosca di rafforzare le sue riserve finanziarie, mentre l’assistenza nella costruzione delle reti infrastrutturali sarebbe l’ideale locomotiva per l’esportazione dei prodotti tecnologicamente avanzati delle industrie tedesche. Altri mercati ancora possono interessare i tedeschi: Cina, Kazakhstan, India, Turchia, Indonesia e, anche in questi casi, non è necessaria una moneta debole per essere competitivi.
C’è un ulteriore motivo di convenienza economica: la Germania ha un debito pubblico ufficialmente ad un po’ più dell’80% del suo Pil, in realtà al 105% se consideriamo (come per tutti gli altri casi del mondo) anche la Cassa depositi e prestiti che, per un espediente giuridico, non viene considerata dai tedeschi. Questo significa che anche la Germania non è in grado, sostanzialmente, di restituire il suo debito (se è vero, come ci insegna Rogoff, che quando il debito supera la soglia del 90% si entra in una spirale senza ritorno), però ha un costo limitatissimo degli interessi, tanto basso da essere a momenti inferiore al tasso di inflazione, dunque da diventare interessi negativi. Ma questo costo così basso è dovuto sia all’immagine di solidità dell’economia tedesca, sia ad una  moneta stabile su livelli alti, per cui i bond tedeschi sono un ottimo bene-rifugio, tale da accettare anche interessi quasi nulli in cambio della sicurezza del capitale investito. Ovviamente, se l’euro subisse una sensibile svalutazione, questo effetto svanirebbe ed inevitabilmente crescerebbe l’interesse da pagare per rendere appetibile l’investimento in bond tedeschi. Per cui, mentre le economie del sud d’Europa hanno bisogno di svalutare la moneta per rendere gestibile il loro debito, la Germania non ha interesse a questa soluzione, perché può Ken Rogoffgestire diversamente il problema del suo debito grazie ai bassissimi interessi ed alle diverse prospettive che consentono di far calare il debito grazie alla crescita.
E c’è un ultimo motivo, di ordine non economico ma storico-psicologico: per i tedeschi la moneta stabile non è una scelta economica, è un dogma. L’esperienza dell’iper-inflazione di Weimar ha scavato profondamente nella memoria dei tedeschi, passando da una generazione all’altra. Per i tedeschi fu l’iper-inflazione a spalancare la porta all’inferno nazista, con tutto quel che ne conseguì. Storicamente non è vero, perché l’iper-inflazione si arrestò nel novembre 1923 con il passaggio al nuovo marco, mentre a spianare la strada ad Hitler, semmai, furono le misure di austerità del governo Brüning. Ma questo passaggio è totalmente rimosso e il dogma della stabilità della moneta forte è la base della filosofia economica della Bundesbank così come dell’immaginario del tedesco medio. A Berlino, nessun governo sfiderebbe mai questo totem. E allora, siete sempre del parere che i tedeschi abbiano interesse alla politica delle svalutazioni competitive?
Fonte dal blog di Giannuli 

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