lunedì 7 gennaio 2013

Joseph Stiglitz: Un anno sul ciglio del burrone...


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Il 2012 è un anno che ha finito per andar male proprio così come pensavo. La recessione in Europa è stata la prevedibile (e prevista), conseguenza delle sue politiche di austerità e di un contesto dell’euro che era destinato a fallire. L’anemica ripresa dell’America – con una crescita appena sufficiente a creare occupazione per i nuovi entranti nel mercato del lavoro – è stata la prevedibile (e prevista) conseguenza di uno stallo politico, che ha impedito l’entrata in vigore del disegno di legge sul lavoro del presidente Barack Obama e ha spinto l’economia nella direzione di un “precipizio fiscale”.
I due principali eventi inattesi sono stati il rallentamento dei mercati emergenti, che si è rivelato leggermente più netto e più diffuso del previsto, e l’avvio in Europa di alcune riforme realmente importanti – anche se ancora del tutto insufficienti rispetto a quanto necessario.
Guardando al 2013, i rischi maggiori sono presenti negli Stati Uniti e in Europa. Al contrario, la Cina ha gli strumenti, le risorse, gli incentivi, e le conoscenze per evitare un atterraggio duro dell’economia- e, a differenza dei paesi occidentali, è priva di qualsiasi consesso che sposi idee letali come quella dell’ “austerità espansiva”.

I cinesi giustamente comprendono che devono concentrarsi più sulla “qualità” della crescita – riequilibrando la loro economia con uno spostamento dalle esportazioni ai consumi interni – che sul mero output quantitativo. Ma, anche con questo cambio di focus della Cina, e nonostante le avverse condizioni economiche globali, una crescita di circa il 7% dovrebbe sostenere i prezzi delle materie prime, a vantaggio delle esportazioni di Africa e America Latina. Un terzo round di quantitative easing da parte della Federal Reserve potrebbe inoltre aiutare gli esportatori di materie prime, anche se servirebbe poco a promuovere la crescita interna degli Stati Uniti.
E’ probabile che gli Stati Uniti, con Obama rieletto, tirino avanti così come è stato negli ultimi quattro anni. Cenni di ripresa del mercato immobiliare saranno sufficienti a scoraggiare drastiche politiche di intervento, come una svalutazione del capitale sui mutui “subacquei” (nei quali il prestito è superiore al valore di mercato della casa). Ma, con i prezzi reali (al netto dell’inflazione) delle case ancora del 40% al di sotto del picco precedente, una forte ripresa per il settore immobiliare (e dell’industria delle costruzioni, che è strettamente collegata) sembra improbabile.
Nel frattempo, anche se al primo gennaio gli avversari repubblicani di Obama non spingeranno il paese sul “precipizio fiscale” degli aumenti di imposta automatici e dei tagli alla spesa, si farà in modo che la tipica modalità americana di austerità lieve possa proseguire. L’occupazione nel settore Pubblico è di circa 600.000 unità al di sotto del suo livello pre-crisi, mentre una normale espansione si sarebbe tradotta in 1,2 milioni di nuovi posti di lavoro, il che implica un disavanzo di posti di lavoro nel settore pubblico di quasi due milioni.
Ma il vero rischio per l’economia globale è in Europa. Spagna e Grecia sono in depressione, senza alcuna speranza di recupero in vista. Il “fiscal compact” dell’eurozona non è una soluzione,
e gli acquisti della Banca centrale europea del debito sovrano sono al massimo un palliativo temporaneo. Se la BCE impone condizioni di austerità ulteriori (come sembra esigere da Grecia e Spagna), in cambio di finanziamenti, la cura non farà che peggiorare le condizioni del paziente.
Parimenti, la comune vigilanza bancaria a livello europeo non sarà sufficiente per evitare il continuo esodo dei fondi dai paesi colpiti. Ciò richiede un adeguato regime comunitario di assicurazione dei depositi, che i paesi del Nord Europa hanno detto non essere nelle carte a breve. I leader europei hanno più volte fatto ciò che una volta sembrava impensabile, ma le risposte sono state disallineate rispetto ai mercati. Essi hanno sempre pesantemente sottovalutato gli effetti negativi dei programmi di austerità ‘e sopravvalutato i benefici degli interventi istituzionali.
L’impatto dell’operazione di rifinanziamento a lungo termine (LTRO) di 1 trilione di euro (1.300 miliardi dollari) della BCE, che ha prestato denaro alle banche commerciali per acquistare titoli del debito sovrano (una operazione di rifinanziamento tanto particolare quanto quella effettuata per il sostegno finanziario agli stati al fine di puntellare il sistema bancario), è stato incredibilmente di breve durata. I leader europei hanno riconosciuto che la crisi del debito nella periferia non farà che peggiorare in assenza di crescita, e hanno anche (a volte) riconosciuto che l’austerità non potrà essere d’aiuto in tal senso; e tuttavia non sono stati in grado di mettere a punto un efficace piano per la crescita.
La depressione che le autorità europee hanno imposto alla Spagna e alla Grecia già sta avendo conseguenze politiche. In Spagna, sono riemersi i movimenti di indipendenza, soprattutto in Catalogna, mentre il neo-nazismo sta avanzando in Grecia. L’euro, creato allo scopo dichiarato di favorire l’integrazione di un’Europa democratica, sta avendo esattamente l’effetto opposto.
La lezione è che la politica e l’economia sono inseparabili. I mercati da soli non possono essere né efficienti né stabili, ma la politica di deregolamentazione ha reso possibili eccessi senza precedenti, che hanno portato a bolle speculative e al precipitare della crisi che ha seguito il loro crollo.

E la politica della crisi ha portato a risposte che sono ben lungi dall’essere adeguate. Le banche sono state salvate, ma i problemi di fondo sono stati lasciati a marcire – nessuna sorpresa, visto che, sia in Europa e in America, il compito di porvi rimedio è stato assegnato ai politici che li avevano causati. In Europa, è stata la politica, non l’economia, che ha guidato la creazione dell’euro; ed è stata la politica che ha condotto ad una struttura fondamentalmente minata che ha creato un ampio spazio per le bolle, ma poco spazio per far fronte alle conseguenze.
Prevedere il 2013 significa prevedere come un governo diviso negli Stati Uniti ed una Europa divisa risponderanno alle loro rispettive crisi. Le sfere di cristallo degli economisti sono sempre piene di nubi, ma quelli degli scienziati politici sono ancora più offuscate. Detto questo, gli Stati Uniti probabilmente se la caveranno un altro anno, non precipitando nel burrone, ma nemmeno immettendosi sulla strada di una robusta ripresa. Ma, su entrambi i lati dell’Atlantico, sarà prevalente una politica polarizzata tra le bravate e il rischio calcolato. Ed il problema della politica del rischio calcolato è che, a volte, si va oltre il limite consentito.
Fonte: Keynesblog

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