martedì 5 marzo 2013

Premio Nobel Stiglitz: “Euro malato irreversibile, meglio farlo morire”


di Joseph Stiglitz,



Il risultato delle elezioni italiane dovrebbe dare un messaggio chiaro ai leader europei: gli elettori non tollerano le loro politiche di austerità.
Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso.
Mentre i leader europei si nascondono al mondo, la realtà è che gran parte dell’Unione europea è in depressione. La perdita di produzione in Italia dall’inizio della crisi è pari a quella registrata negli anni ’30. Il tasso di disoccupazione giovanile in Grecia ha invece superato ora il 60%, mentre quello della Spagna è oltre il 50%. Con la devastazione del capitale umano, il tessuto sociale europeo si sta lacerando ed il suo futuro è sempre più a rischio.

I dottori dell’economia dicono che il paziente deve lasciare che la malattia faccia il suo corso, mentre i leader politici che suggeriscono il contrario vengono accusati di populismo. La realtà tuttavia è che la cura non sta funzionando e non c’è alcuna speranza che funzioni; o meglio che funzioni senza comportare danni peggiori di quelli causati dalla malattia. E ci vorrà un decennio o più per recuperare le perdite generate da questo processo di austerità.

In breve, non è stato né il populismo né la miopia che ha portato i cittadini a rifiutare le politiche che gli sono state imposte, ma è la modalità errata con cui sono state portate avanti.
Le risorse e i talenti dell’Europa (il suo capitale umano, fisico e naturale) sono gli stessi del periodo precedente alla crisi. Il problema è che le cure imposte stanno portando ad un significativo sottoutilizzo di tali risorse. Qualsiasi sia la natura dei problemi dell’Europa, una risposta che comporti uno spreco di quest’entità non può rappresentare la soluzione.

La diagnosi semplicistica dei mali dell’Europa che sostiene che i paesi ora interessati dalla crisi stessero vivendo al di sopra delle loro possibilità, è evidentemente sbagliata almeno in parte. Prima della crisi, infatti, sia la Spagna che l’Irlanda registravano un surplus fiscale ed un rapporto debito/PIL basso, e se la Grecia fosse stata l’unico problema a livello europeo, l’Europa avrebbe potuto gestirlo facilmente.

Ci sono una serie di politiche alternative in discussione che potrebbero funzionare. L’Europa ha bisogno di un maggiore federalismo fiscale e non solo di un sistema di supervisione centralizzato dei budget nazionali. Ovviamente, l’Europa potrebbe non avere bisogno del sistema usato negli Stati Uniti che prevede un rapporto di due a uno della spesa federale rispetto alla spesa statale, ma necessita in ogni caso di una spesa maggiore a livello europeo invece dell’esiguo budget attuale dell’UE (ridotto ulteriormente dai sostenitori dell’austerità).

E’ poi necessaria un’unione bancaria, ma deve essere una vera unione con un unico sistema di assicurazione dei depositi, delle procedure risolutive ed un sistema di supervisione comune. Inoltre, sarebbero necessari gli Eurobond o uno strumento simile.

I leader europei riconoscono che senza la crescita il peso del debito continuerà a crescere e che le sole politiche di austerità sono una strategia anti-crescita. Ciò nonostante, sono passati diversi anni e non è stata ancora presentata alcuna proposta di una strategia per la crescita sebbene le sue componenti siano già ben note, ovvero delle politiche in grado di gestire gli squilibri interni dell’Europa e l’enorme surplus esterno tedesco che è ormai pari a quello della Cina (e più alto del doppio rispetto al PIL). In termini concreti, ciò implica un aumento degli stipendi in Germania e politiche industriali in grado di promuovere le esportazioni e la produttività nelle economie periferiche dell’Europa.

Quello che non può funzionare, almeno per gran parte dei paesi dell’eurozona, è una politica di svalutazione interna (ovvero una riduzione degli stipendi e dei prezzi) in quanto una simile politica aumenterebbe il peso del debito sui nuclei familiari, le aziende ed il governo (che detiene un debito prevalentemente denominato in euro). E con l’implementazione di una serie di modifiche nei diversi settori a velocità diverse, la deflazione a livello mondiale innescherebbe degli stravolgimenti enormi nell’economia.

Se la svalutazione interna fosse la soluzione, lo standard dell’oro non sarebbe stato un problema durante la Grande Depressione. La svalutazione interna unita alle politiche di austerità e al principio del mercato unico (che favorisce la fuga di capitali e l’emorragia dei sistemi bancari) è una combinazione altamente dannosa.

Il progetto europeo è stato ed è ancora una grande idea politica con un elevato potenziale di promozione della prosperità e della pace. Ma invece di migliorare la solidarietà all’interno dell’Europa, sta seminando i semi della discordia all’interno e tra i vari paesi.

I leader europei continuano a promettere di fare tutto il necessario per salvare l’euro. La promessa del Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, di fare “tutto il necessario” ha garantito un periodo di tregua temporaneo. Ma la Germania si è opposta a qualsiasi politica in grado di fornire una soluzione a lungo termine tanto da far pensare che sia sì disposta a fare tutto tranne quello che è necessario.

Ovviamente i tedeschi hanno dovuto accettare con riluttanza la necessità di un’unione bancaria che comprenda un sistema di assicurazione dei depositi comune. Ma il passo con cui sostengono queste riforme è in discordanza con i mercati, mentre in diversi paesi i sistemi bancari sono già attaccati al respiratore. Quante altre banche dovranno entrare in terapia intensiva prima che l’unione bancaria diventi una realtà?

E’ vero, l’Europa ha bisogno di riforme strutturali come insiste chi sostiene le politiche di austerità. Ma sono le riforme strutturali delle disposizioni istituzionali dell’eurozona e non le riforme all’interno dei singoli paesi che avranno l’impatto maggiore. Se l’Europa non si decide a voler fare queste riforme, dovrà probabilmente lasciar morire l’euro per salvarsi.

L’Unione monetaria ed economica dell’UE è stata concepita come uno strumento per arrivare ad un fine non un fine in sé stesso. L’elettorato europeo sembra aver capito che, con le attuali disposizioni, l’euro sta mettendo a rischio gli stessi scopi per cui è stato in teoria creato. Questa è l’unica e semplice verità che i leader europei non sono ancora riusciti a cogliere.

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