giovedì 27 giugno 2013

Il cerino spento dell’incendiario Letta

Berlino, Angela Merkel incontra Enrico Letta


“Sarà un confronto duro”. Così il presidente del consiglio Enrico Letta ha descritto, davanti alle Camere, il suo atteggiamento per il Consiglio europeo del 27-28 giugno. “L’Europa non riesce a riprendere velocità e ci sono ancora ombre sulla moneta unica. – ha aggiunto Letta – Sono bastate due notizie provenienti da posti anche lontani da loro (la sede della Corte Costituzionale tedesca e Atene che chiude la tv pubblica) per dare il segno che la crisi non è ancora finita”.



Si tratta forse della prima volta in cui un presidente del consiglio italiano ha usato parole forti nei confronti dell’Europa e della sua risposta alla crisi. Invero, un atteggiamento differente dal passato era già presente nell’interessante mozione preparatoria per il vertice di Bruxelles del mese scorso. Interessante perché finalmente si prende atto che le “riforme strutturali” di cui l’Eurozona avrebbe urgente bisogno sono quelle a livello federale.

Eppure di fronte alla drammaticità del quadro europeo, tutto ciò appare largamente inadeguato. Per rendersene conto basta del resto guardare le misure approvate in questi giorni dal consiglio dei ministri. Da un lato si ritorna a favorire il lavoro precario, eliminando i limiti introdotti dal precedente governo sui contratti atipici, peraltro nel sostanziale silenzio dei sindacati. Tali misure, accusate di aver favorito la disoccupazione, potevano essere certo discusse e riformate, ma la loro eliminazione riporta il mercato del lavoro in una sostanziale anarchia. Ieri inoltre il consiglio di ministri ha approvato nuovi incentivi alle assunzioni di giovani a tempo indeterminato, stanziando una cifra non piccola, 1,5 miliardi, il che andrebbe pure bene, se non fosse che la disoccupazione dipende dalla mancanza di investimenti. E’ quasi inutile dare la possibilità di assumere a basso costo se le imprese non assumono a causa della crisi economica e pertanto la previsione di 200mila nuove assunzioni lascia il tempo che trova. Il rischio è che ci si approfitti degli incentivi per sostituire occupati esistenti con disoccupati che possano godere degli incentivi. Al limite si può sperare nella trasformazione di contratti precari in posti di lavoro stabili, ma allora perché ri-liberalizzare il lavoro temporaneo?

Deludente appare poi l’ordine del giorno del Consiglio europeo, in cui a parole si punta sulla crescita e la lotta alla disoccupazione, ma spulciando le misure si ritrovano quasi solo politiche supply-side. Persino la formazione, in un contesto di crisi da mancanza di domanda nei paesi periferici, rischia semplicemente di tradursi in formazione di manodopera a spese di tutti ma per le sole imprese del “centro” (Germania, Austria, ecc.). Le previsioni di investimenti, invece, risultano di modesta entità, e quanto al miglioramento delle condizioni del credito per le imprese, i risultati rischiano di essere irrilevanti in un contesto di depressione, nel quale la stessa domanda di credito si riduce a causa delle aspettative negative.

A tutto ciò va aggiunto che, mentre Francia, Spagna, Slovenia e Olanda hanno ottenuto il posticipo del rientro dal deficit, l’Italia – con Letta – ha giurato di rispettare i parametri di Maastricht, il che significa mantenere ingenti avanzi primari dai pesanti effetti recessivi.

Insomma, davvero non si capisce in cosa sarà “duro” il confronto che Letta dice di voler aprire. A noi sembra di poter dire che certe affermazioni hanno più una valenza interna che una proiezione concreta nel dibattito europeo. Del resto chi vuole trattare “duramente” non parte accettando aprioristicamente le condizioni poste dall’altra parte.

Se davvero il presidente Letta desidera imprimere una svolta all’Europa, deve rendersi conto che il maggior ostacolo sono proprio le regole che egli intende rispettare pedissequamente, regole che ci hanno portato nella crisi in cui si dibatte mezza Unione e che andrebbero fatte saltare in aria. Ma l’incendiario Letta si presenta a Bruxelles con un cerino spento.

Fonte: http://keynesblog.com

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