martedì 17 settembre 2013

Il moltiplicatore keynesiano spiegato facile facile

Uno dei capisaldi della teoria economica keynesiana è il moltiplicatore: ecco una spiegazione illustrata tratta da Keynes Blog (www.keynesblog.com). Facile facile...
Ci è stato insegnato fin da piccoli a mettere i soldi nel salvadanaio e conservarli. Ad un certo punto possiamo rompere il salvadanaio e spendere in un solo acquisto la moneta che abbiamo “tesaurizzato”. Forti di questa convinzione, pensiamo che per spendere occorra prima risparmiare. E, finché ci limitiamo al nostro salvadanaio o a considerare una unità familiare, le cose stanno in effetti più o meno così, anche se quei soldi risparmiati dobbiamo averli prima guadagnati lavorando. Questo dovrebbe porci già qualche dubbio; ma non anticipiamo nulla e vediamo cosa accade in un sistema economico. Per illustrare come funziona l’accumulazione dei risparmi supporremo un sistema semplice, composto da famiglie e imprese. Il reddito delle famiglie deriva dalle paghe che i lavoratori percepiscono dalle imprese. Inoltre il sistema, per semplicità, è chiuso, ossia non vi sono importazioni ed esportazioni.
All’inizio le imprese investono (quindi spendono) una cifra aggiuntiva rispetto al periodo precedente, diciamo 100 milioni. Indicheremo questo investimento aggiuntivo con ∆I; quindi ∆I=100.
Cosa vuol dire che le imprese hanno investito 100 milioni? Significa che hanno acquistato nuovi macchinari o costruito nuovi capannoni o fatto acquisti in altri beni capitali. Pertanto qualcuno nell’insieme delle famiglie ha percepito quella spesa aggiuntiva: ad esempio sono stati assunti nuovi lavoratori delle imprese che costruiscono capannoni e macchinari. Pertanto il ∆I si traduce in reddito aggiuntivo per le famiglie.
Cosa faranno le famiglie di questo reddito? Non lo spenderanno tutto, ma risparmieranno una parte. Supponiamo che spendano il 70% e risparmino il restante 30%. Spendere questi 70 milioni significherà acquistare prodotti in più per 70 milioni dalle imprese. Pertanto la situazione sarà quella in figura:
Dove ∆S rappresenta il risparmio (“saving”) aggiuntivo che in questo primo passaggio è uguale a 30. Per rispondere ai consumi aggiunti (che indicheremo con ∆C) pari a 70 milioni le imprese dovranno assumere nuovo personale e compiere altre spese che, come in precedenza, si riverseranno sulle famiglie. Queste ultime risparmieranno il 30% dei 70 milioni aggiuntivi, pari a 21 milioni e ne spenderanno il 70%, pari a 49 milioni. Pertanto al secondo passaggio ∆C = 70+49 = 119 e ∆S = 30 + 21 = 51:
Il processo va avanti così, in un circolo sempre più smorzato. Vediamo i due successivi passaggi (indicheremo con ∆Y la spesa aggiuntiva delle imprese, che corrisponde al reddito aggiuntivo percepito dalle famiglie)
Passaggio 3:
∆Y = 100+70+49 = 219
∆C = 70+49+(0,7*49) = 153,3 (70% di 49 = 34,3)
∆S = 30 + 21 + (0,3*49) = 65,7 (30% di 49 = 14,7)
Passaggio 4:
∆Y = 100+70+49+34,3 = 249,3
∆C = 70+49+34,3+(0,7*34,3) = 177,3
∆S = 30 + 21 + 14,7 + (0,3*34,3) = 76
Come si può notare ad ogni passaggio cresce non solo il reddito ma anche il risparmio. Ma fino a quando? Vediamo subito il risultato finale; dato un ∆I=100 e una propensione al consumo delle famiglie c=0,7
(1) ∆Y = 100/(1-0,7) = 333,3
(2) ∆S = 100 = ∆I
(3) ∆C = ∆Y – ∆S = 333,3 – 100 = 233,3
(4) ∆Y = ∆C + ∆I (reddito nazionale = domanda aggregata)
L’equazione 4 indica che la spesa delle imprese (acquisti, investimenti, stipendi), identica al reddito percepito dalle famiglie, è pari ai consumi sommati all’investimento, vale a dire la domanda aggregata. In altre parole un paese nel suo complesso “guadagna ciò che spende”. Y è quindi il reddito nazionale, ovvero, in una economia chiusa, il PIL, Prodotto interno lordo.
Possiamo notare due fatti importanti. Il primo è il funzionamento del moltiplicatore dell’investimento, che avevamo già descritto in alcuni post precedenti. Esso dipende dalla propensione al consumo delle famiglie: più spendono, più il moltiplicatore è alto. Nel nostro caso, data una propensione al consumo c=0,7 avremo che il moltiplicatore è pari a 1/(1-c)=1/(1-0,7)=3,333…
Investire, insomma, crea reddito aggiuntivo.
Ma altrettanto importante è il meccanismo con il quale le famiglie hanno risparmiato: è solo grazie alla spesa iniziale in investimento che si è potuto innescare il circolo che ha portato le famiglie ad incrementare i loro risparmi che sono numericamente pari all’investimento iniziale di 100 milioni (equazione 2).
In altre parole, per risparmiare occorre spendere. O, come si dice nel gergo degli economisti, l’investimento guida il risparmio.
Durante una crisi, quando l’investimento privato e i consumi delle famiglie diminuiscono,lo Stato deve colmare il gap incrementando le sue spese in deficit, cioè senza aumentare le tasseSe non lo fa, la situazione peggiorerà perché la minore domanda indurrà le imprese a produrre di meno e quindi tagliare posti di lavoro, ma la perdita di posti di lavoro diminuirà i redditi delle famiglie e quindi i consumi, facendo decrescere la produzione e crescere ulteriormente la disoccupazione, cosa che procurerà maggiore spesa pubblica (in sussidi di disoccupazione) e minori entrate fiscali.
La maggiore spesa si tradurrà temporaneamente in disavanzo, ma incrementando il reddito nazionale, aumenterà anche il gettito fiscale, che andrà a compensare (o superare, se le aliquote sono elevate) la maggiore spesa.
Se invece si punta sull’austerità, il reddito nazionale calerà e con esso il gettito fiscale. In altre parole lo Stato durante una crisi non ha altra soluzione realistica, per ripianare i suoi debiti nel medio-lungo periodo (o per lo meno per non aggravarli), dispendere di più nel breve periodo.
Insomma, l’austerità, che oggi è il faro dell’Europa, non solo è socialmente ingiusta, ma del tutto controproducente, come i casi di Portogallo, Irlanda e Grecia (e adesso anche di Italia e Spagna) stanno lì a dimostrare.
Ovviamente nel caso di un sistema aperto, con importazioni ed esportazioni, le cose si complicano poiché una parte delle maggiori spese finirà all’estero. In questo caso occorrerà prestare attenzione alla bilancia commerciale, il principale problema dei paesi periferici dell’Europa. Come molti economisti hanno suggerito è quindi necessario che i Paesi “centrali” (Germania in primis) spendano di più, direttamente o attraverso un significativo incremento del bilancio europeo.
A questa obiezione di solito si risponde che, prima di spendere, occorre risparmiare. Ma abbiamo appena visto che nella realtà è l’esatto opposto. Finché qualcuno – l’Europa, i paesi “centrali” o i gli stati – non deciderà di spendere di più, i paesi periferici non riusciranno mai a risparmiare: ad ogni taglio corrisponderà un minore reddito nazionale e ad un minore reddito nazionale corrisponderà un minore gettito fiscale e più disoccupazione.
Infine non bisogna illudersi che l’austerità dia grandi risultati in termini di risparmio sul debito pubblico. Un paese in crisi risulterà difficilmente affidabile agli occhi di chi vuole acquistare titoli di stato e questo qualcuno pretenderà un tasso d’interesse maggiore per rinunciare la sua liquidità. Per questo diventa centrale la riforma della Banca centrale europea o meccanismi che possano ridare fiducia nei titoli di stato.

3 commenti:

  1. L'austerità e la relativa crisi che ne comporta sono volutamente decise al tavolino.
    L'austerità serve solamente come recupero crediti, ossia garanzia di investimento per gli speculatori, la crisi invece un metodo di governo per ricattare i lavoratori ed abbassare l'inflazione a vantaggio dei creditori.

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    1. Come non darti ragione...la gente non si pone mai la domanda: chi sono i creditori ai quali vanno corrisposti i debiti? ovviamente i paese del nord! e questi impongono l'austerità come unico sistema per poter drenare il denaro prestato impudentemente in precedenza e l'€ permette di fare ciò grazie alla sua rigidità e costruzione folle.

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  2. Il sistema dell'Euro è stato creato proprio per questo scopo: impoverire gli Stati sottoposti alla speculazione della grande finanza per ottenere moneta (l'Italia paga 80 Mld di Euro all'anno di interessi sul debito pubblico, sottraendoli alle pubbliche necessità), mentre la BCE dà i soldi a tasso zero alle banche (il mondo alla rovescia). Lo Stato impoverito non può adottare politiche di rilancio dell'economia di tipo Keynesiano mediante investimenti pubblici, con relativo effetto moltiplicatore. La disoccupazione aumenta e i redditi diminuiscono cosicché si crea una massa enorme di disoccupati disposti a lavorare per stipendi da fame e le imprese aumentano i profitti (prima di chiudere perchè la crisi prima o poi colpirà anche loro). Cosa fare? Anzitutto recuperare al più presto la sovranità monetaria con una Banca d'Italia priva di autonomia e sottoposta completamente alle dipendenze del Governo. In secondo luogo avviare una politica di sviluppo con investimenti pubblici anche in deficit per rilanciare l'economia e l'occupazione. Se vogliamo dare un futuro ai nostri figli questa è la strada. Bisogna stroncare definitivamente questo sistema che privilegia le banche e la speculazione finanziaria ai danni degli Stati e dei popoli. E’ tutto molto chiaro e molto semplice. Si tratta solo di decidere se quello che conta in uno Stato è il benessere del popolo, la piena occupazione, il diritto al lavoro e ad una giusta retribuzione (come vuole la nostra Costituzione: art. 1, 3, 4, 35, 36, ecc.) oppure l’arricchimento delle banche e della grande finanza. E’ una scelta che spetta a tutti i cittadini alle prossime elezioni politiche.

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