venerdì 29 novembre 2013

Di chi è la colpa? Parte seconda: abbiamo sprecato il dividendo dell'euro e abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità

Nella parte prima di questo post abbiamo esaminato le prime due voci dell'elenco delle colpe di noi italiani per la crisi che ci attanaglia ormai da quasi sei anni, secondo quanto ci dicono i politici e la stampa. Ora è tempo di esaminare la terza e la quarta: abbiamo sprecato il dividendo dell'euro e abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità.

Vi dico francamente, ritenevo che confutare queste due affermazioni fosse diventato inutile, data l'evoluzione che piano, piano sta avvenendo nella percezione della crisi, delle sue cause e l'abbandono da parte dei sostenitori più accorti dell'euro e dell'eurozona di alcuni dei vecchi caposaldi della propaganda eurista, ma sentire ieri il giornalista, ex consulente di D'Alema, poi consulente della Santanché ed attuale firma de Il Giornale, Fabrizio Rondolino, spiegare all'inclito ed alla plebe, ribadendo che la colpa è nostra, che l'euro ci stava facendo tanto bene, che potevamo fare le riforme ed invece abbiamo perso tempo ed opportunità, che praticamente abbiamo gozzovigliato invece di fare come l'austera Germania che ha eliminato le tredicesime (...) ed è ripartita, beh mi ha fatto capire che forse due righe di chiarimento meritano di essere scritte. E dunque

ABBIAMO SPRECATO IL DIVIDENDO DELL'EURO

Innanzitutto: qual'è o quale sarebbe stato questo dividendo? La risposta è unanime: il poter usufruire di tassi bassi di interesse per il servizio del debito, dal 1999, inizio di fatto dell'euro come moneta degli scambi intervìnazionali, al 2007, quando è scoppiata la crisi. In questo periodo, ci dicono, l'appartenenza all'eurozona ha fatto sì che potessimo godere, grazie alla "credibilità" data dalla stabilità del cambio, di tassi di interesse calanti con risparmi di centinaia di miliardi (700, secondo una famosa dichiarazione di Giannino, poi ribadita da Marco Bollettino sul sito di FARE), miliardi che abbiamo dilapidato con più spesa pubblica, quindi più debito, più interessi, più tasse.

Vediamo qualche dato:



Cosa si nota? Che tutti i Paesi, sia UE, eurozona e non, che extra UE avevano lo stesso trend: i tassi di interesse erano in calo costante e si stavano allineando al 4/5%; è pertanto probabile che, anche non entrando in eurozona, l'Italia avrebbe comunque beneficiato di tassi di interesse più bassi, anche perché la discesa dei suoi tassi inizia ben prima del 1997, quando ormai la partecipazione futura all'euro era una certezza, ma è un trend costante dal 1993, con una accelerazione nel 1995 fino al 1996, probabilmente dovuto alla crescita del PIL, che portava maggior gettito per coprire il fabbisogno, e quindi del minor ricorso al finanziamento. Va ricordato che gli interessi erano saliti a dismisura per il tentativo di sostenere un cambio sopravvalutato della lira all'interno dello SME, fino all'inevitabile tracollo ed uscita, poi l'economia ha ripreso e con la svalutazione non c'è stato più bisogno di difendere il cambio ed offrire rendimenti così alti.

ABBIAMO VISSUTO AL DI SOPRA DELLE NOSTRE POSSIBILITA'

Si può quindi affermare che il "beneficio" dei tassi basi di interesse non è un beneficio che dobbiamo all'euro, ma era un trend mondiale. Se lo si fa notare all'eurista o euroentusiasta ci si trova di fronte alla seconda obiezione: "va bene, i tassi forse sarebbero stati bassi ugualmente, ma ciò non toglie che abbiamo goduto di un periodo in cui potevamo finanziarci a costi minori ed, invece di sanare il debito e fare le riforme per migliorare la nostra competitività ed il funzionamento dell'economia, abbiamo fatto spesa allegra, ecc. ecc.".

In effetti sembra un'obiezione ragionevole: abbiamo perso tempo e ci siamo cullati. Sembra: ma è proprio così?

Vediamo l'andamento dei debiti del Paese nel suo complesso in quei anni:



Fermiamo lo sguardo fino al 2007, prima del fallimento Lehman: il debito pubblico è in trend negativo, passa dal 120% del PIL del 1997 al 103%, lo Stato quindi sta facendo i suoi compiti; chi invece sta peggiorando la sua situazione è il comparto delle imprese che nello stesso periodo passa da un debito pari al 85% del PIL ad un debito che tocca il 108%, quello delle famiglie che si indebitano con una percentuale rispetto al PIL dal 30% al 45%, ma soprattutto il settore finanziario, il cui debito decolla dal 30% al 80% del PIL in soli dieci anni. La ragione è questa:



fonte: goofynomics

Cosa ci dicono questi due grafici? Una cosa semplice: che l'inflazione nella zona euro va sì, verso la convergenza con l'adozione di una moneta unica, ma le differenze fra Paese e Paese permangono, come ci dimostra il grafico di comparazione dei prezzi rispetto alla Germania. Cosa provoca questa permanenza di diversi tassi, pur ristretti, di inflazione? La perdita progressiva di competitività delle aziende degli Stati ove l'inflazione è relativamente più alta: questo è il vero "dividendo dell'euro", l'impossibilità di aggiustare con il cambio le pur minime differenze di prezzo dei beni prodotti e quindi la perdita di convenienza dei prodotti, sia sul mercato esterno, che sul mercato interno. Il risultato è che i Paesi con l'inflazione più bassa esportano i loro prodotti che diventano più convenienti di quelli fabbricati all'interno dei Paesi a più alta inflazione; quindi in quest'ultimi aumentano le importazioni, ed il debito con l'estero sale, tutte cose che abbiamo già visto.

Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità? No, direi che abbiamo vissuto con gli stessi standard di consumo, solo che invece di consumare beni nazionali abbiamo cominciato a consumare beni prodotti all'estero, convenienti e con finanziamenti agevolati, con rate piccolissime e praticamente senza interessi, amorevolmente forniti dai Paesi del nord Europa, soprattutto la Germania, i quali ci fornivano anche i capitali per acquistarli. Fino a che i prestatori sono andati in crisi ed hanno smesso di prestare.

Siamo stati vittime di un avido mercantilismo ed ora dobbiamo espiare questa colpa non nostra: questo è quello che in realtà ci dicono quando rimproverano che siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità: è bene capirlo.


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