martedì 22 aprile 2014

Sapir: Sarebbe un errore non votare alle Europee

Un recente post del prof. Sapir sulle elezioni europee sottolinea la necessità di votare e prendere posizione. Dalla gestione della crisi del 2008 ai nefandi programmi della Troika, dalla posizione nella crisi ucraina al TTIP, l'UE si dimostra un fallimento totale rispetto a tutte le sue promesse. A conti fatti non solo l'euro, ma anche questa UE deve essere smantellata (non "cambiata") per poter ricominciare con un'altra Europa.



Dopo la formazione del nuovo governo francese siamo stati subito e pienamente coinvolti nella campagna per le elezioni europee. Queste suscitano in genere uno scarso interesse. E' un errore, e sarebbe particolarmente dannoso se accadesse anche questa volta. La posta in gioco delle prossime elezioni è alta. Esse esprimeranno delle scelte elettorali che saranno, senza dubbio, difficili e delicate. Dobbiamo qui ricordare che tali elezioni riguardano in realtà l’Unione Europea e non l’Europa stessa. Uno può sentirsi culturalmente e storicamente europeo e rifiutare quell’istituzione che si è appropriata del nome di Europa, ma che è ben lontana dall'essere adeguata a tale scopo.

L’Unione Europea alla deriva

Oggi anche i più ferventi difensori dell’Unione Europea ammettono che essa è alla deriva e che, sempre di più, serve unicamente da copertura agli interessi della Germania [1]. Il perseguimento delle politiche di austerità, esplicitamente implementate per “salvare l’euro” senza imporre un costo troppo alto alla Germania, lo dimostra. Queste politiche stanno attualmente conducendo i paesi dell’Europa del sud verso la bancarotta e la miseria. Ma, parlando in generale, l’UE soffre anche di molteplici difetti, che nel tempo sono diventati sempre più evidenti. È politicamente elefantiaca, troppo aperta e senza altra linea di politica industriale se non la famosa “concorrenza libera e senza distorsioni”, che qualsiasi economista minimamente onesto deve riconoscere essere una contraddizione in termini. Essa non garantisce né la sicurezza economica ai popoli degli stati membri, e nemmeno la sicurezza politica – essendo stata catturata da interessi che ora premono per un’opposizione frontale nei confronti della Russia, come si è potuto constatare in occasione della crisi in Ucraina. In questa occasione i leader della UE, che si vantano di rispettare i diritti umani, non hanno esitato a dare il loro sostegno a dei gruppi fascistoidi come il “Pravy Sektory” o SVOBODA. Ricordiamo pure che questa stessa UE si è dimostrata totalmente incapace di evitarci la crisi finanziaria del 2007-2008, a dispetto di tutti i discorsi sul fatto che “l’Europa ci protegge”. Questa linea politica proseguirà con la firma del “Trattato Transatlantico” (il TTIP, ndt), che stabilisce le condizioni di un libero scambio generalizzato con gli Stati Uniti e che, di fatto, impone che le nostre norme sociali e sanitarie debbano essere allineate con quelle degli Stati Uniti. Di fronte a una tale nuova abdicazione a Washington, non si riesce più a vedere, dunque, quale sia la giustificazione per mantenere una “Unione Europea”.


Oltretutto possiamo qualificare l’Unione Europea come un’organizzazione criminale, a causa delle politiche che vengono tuttora implementate dalla cosiddetta “Troika” in Grecia e in altri paesi. Sicuramente, in questo la UE non sta agendo da sola. La “Troika” è costituita dalla BCE, dalla Commissione Europea e dal FMI. Ma bisogna anche riconoscere che il FMI si è ripetutamente opposto alle politiche che venivano implementate dalla “Troika”, poichè ne prevedeva e calcolava le conseguenze. La responsabilità della smisurata durezza di queste politiche, che si sono tradotte in un netto incremento della mortalità in Grecia, e da qualche mese a questa parte anche in Portogallo – ed è per questo che usiamo l'aggettivo criminale – è solo ed esclusivamente da attribuire alla Commissione Europea e alla BCE. L’UE ha anche la responsabilità di aver fatto entrare un movimento neo-nazista come Alba Doratanel Parlamento Greco. E' anche questo che dovrà essere sanzionato in queste elezioni.

L'insensatezza del discorso “cambiamo l’Europa”

In un tale contesto, evidentemente, nessuno ha intenzione di difendere la UE “così com’è”, e i discorsi sulla necessità di “cambiare l’Europa” si vanno moltiplicando. Ma quanto possono essere reali?

L’Unione Europea comprende troppi membri per poter portare avanti dei progetti interessanti. È un fatto che un’alleanza è sempre più lenta e più debole rispetto ad un singolo paese. Inoltre, la natura liberista dell’Unione Europea non è solo inscritta nel progetto europeo fin dal principio, ma corrisponde precisamente alla logica con cui si svolgono i negoziati. Quando si cerca un compromesso, risulta sempre molto più facile convergere su una posizione di non-intervento, sia che si tratti di materie economiche che sociali. Qualsiasi atto concreto genera un’infinità di mercanteggiamenti che, a loro volta, generano nuovi contenziosi. Oltre al peso dell’ideologia liberista, al peso degli interessi particolari delle grandi imprese che sono ben rappresentate a Bruxelles, si deve sapere che nella logica di un negoziato il “punto focale” [2] si trova molto spesso nella misura più “liberista”.

L’Unione Europea non è un’istituzione che sta fuori da un contesto. Si muove in un universo nel quale, sia per interessi particolari sia per ideologia, i funzionari che la compongono, e che in larga misuradecidono l’ordine del giorno delle riunioni, sono completamente intrisi dell'ideologia più liberista. Non dobbiamo dimenticare che queste persone vivono con ottimi stipendi (che non hanno mai pensato di ridursi per solidarietà con i popoli da loro oppressi). Pretendere di cambiare l’Unione Europea equivale a pretendere di stabilire un altro contesto, e implica la volontà coordinata di una maggioranza di paesi. È piuttosto evidente che, a causa dell’asincronia dei cicli della politica nei principali paesi, questo è al momento assolutamente impossibile.

A questo punto si potrebbe obiettare che questa è una conseguenza della natura inter-governativa della UE, e che per questa ragione bisogna andare nella direzione di un’Europa federale. Ma questo ragionamento poggia su false basi. Anzitutto, non esiste un popolo europeo, sia questo dovuto a rappresentazioni politiche troppo divergenti o al peso di storie diverse che sono troppo profondamente radicate. Solamente la soluzione inter-governativa è possibile se si vuole preservare un minimo di democrazia. Inoltre la soluzione federale esigerebbe ad oggi dei massicci trasferimenti fiscali dai redditi dei più ricchi (dei tedeschi per essere chiari [3]), al fine di alimentare questo “bilancio federale” che taluni vagheggiano. La federalizzazione dell’Europa è un non-senso, tanto politico quanto economico.

Infine diamo un’occhiata a chi sta oggi chiedendo di “cambiare l’Europa”. Questo discorso viene fatto tanto dall’UMP quanto dai Socialisti. Tuttavia, da più di vent’anni nessuno di questi due partiti ha mostrato la benché minima volontà in tal senso. Il solo modo di “cambiare l’Europa” per davvero sarebbe quello di provocare una grave crisi, bloccando il processo decisionale, cosa che la Francia potrebbe fare da sola o assieme ad altri paesi, fino ad ottenere ciò che vogliamo, almeno in parte. Questo è ciò che il Generale De Gaulle fece negli anni ’60 con la sua politica della “sedia vuota”. Tuttavia, né l’UMP né i Socialisti si fanno oggi sostenitori di questa linea, il che pone un dubbio fondamentale sulla loro effettiva volontà di “cambiare l’Europa”. Lo stesso si può dire del partito centrista UDI, dei socialisti dissidenti del “Nouvelle Donne” o del partito ecologista EELV. Aggiungiamo che questi partiti sono debolmente strutturati e sono preda di ambizioni personali e di conflitti tra le varie personalità. Bisognerebbe essere matti per credere che da questi possa venire fuori una qualche possibilità di cambiamento.

In realtà, il discorso sul “cambiare l’Europa” si rivela essere, che sia di proposito o come conseguenza dei mezzi che vengono proposti, un discorso mistificatore. Non si cambia nulla, ma si finge di voler cambiare per legittimare delle posizioni che nei fatti non cambieranno nulla. Non è nemmeno come nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “cambiare tutto perché nulla cambi”. In realtà non dobbiamo “cambiare l’Europa”, ma cambiare di Europa. E per questo, si deve cominciare col distruggere ciò che ora rende impossibile alla UE qualsiasi movimento.

Due punti critici

In queste circostanze si sente fortemente la propensione ad astenersi a queste elezioni. Tale è la posizione di alcuni, tra cui Jacques Nikonoff e il M’PEP. È una posizione onorevole, ma erronea. In un’elezione, a meno che non si riesca materialmente ad impedirla, o che il tasso di astensione superi il 90%, gli assenti hanno sempre torto. Quindi occorre definire cosa motiva il voto e quali sono le liste che potrebbero essere votate, sapendo a priori che tra queste non ci sono nè l’UMP, ne l’UDI, nè i socialisti nè EELV. Queste elezioni si giocheranno in realtà su due punti.

Il primo punto è il famoso “Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti” (TTIP). Questo trattato è abominevole per diversi aspetti, sia perché toglie agli Stati le competenze fondamentali su temi quali la sovranità alimentare o la tracciabilità dei medicinali (il che tocca i due punti chiave dell'alimentazione e della salute), sia perché costituisce un malcelato abbandono di tutte le normative francesi ed europee. Questo trattato, come ha confermato Michel Sapin in una dichiarazione il 2 aprile di quest’anno, non verrà sottoposto a referendum. Perciò deve essere stroncato sul nascere, e questo si può fare solamente attraverso le elezioni europee.

Il secondo punto sono, ovviamente, l’euro e le politiche di euro-austerità che esso porta con sè. Per molti mesi abbiamo analizzato tutti i problemi, sia di breve termine che strutturali, causati dall’euro [4]. Dal 2012 sono stati molti gli economisti, ma anche i politici, che si sono detti d’accordo con queste conclusioni [5]. Ora il dibattito si è generalizzato, e si estende dall’Italia al Portogallo, passando per la Germania [6]. Dev’essere detto e ripetuto: l’unico modo di uscire dal circolo vizioso dell’austerità e del debito è smantellare l’euro.Sulla base di questo argomento lo scorso febbraio il Partito di Sinistra ha significativamente spostato le proprie posizioni verso l’idea di un’uscita dall’euro.

Pertanto, e tenuto conto della natura delle procedure di voto, converrà sostenere e votare, in accordo con le proprie personali preferenze politiche, tutte le liste che si pronunceranno senza ambiguità contro questi due punti. Solo una chiara e netta sconfitta delle liste europeiste (UMP, UDI, Socialisti, “Nouvelle Donne” e EELV) può permettere il chiarimento politico di cui abbiamo bisogno, sia in Francia che in Europa. Dobbiamo rifiutarci di mandare al Parlamento Europeo persone che non faranno altro che prolungare delle politiche che sono già durate troppo a lungo.

[1] Si veda Delaume C., Europe, les États désunis, Les Liens qui Libèrent, Parigi, 2014, e Lordon F., La Malfaçon, Les Liens qui Libèrent, Parigi, 2014.


[2] Schelling T.C., The Strategy of Conflict, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1960.


[3] Artus P., « La solidarité avec les autres pays de la zone euro est-elle incompatible avec la stratégie fondamentale de l’Allemagne : rester compétitive au niveau mondial ? La réponse est oui », NATIXIS, Flash-Économie, n°508, 17 juillet 2012Sapir J., « Le coût du fédéralisme dans la zone Euro », in RussEurope, 10 novembre 2012, http://russeurope.hypotheses.org/453


[4] Sapir J., Faut-il Sortir de l’Euro? Le Seuil, Paris, 2012.


[5] Oltre a molti professori universitari francesi come Jean-Jacques Rosa, Gérard Laffay e Jean-Pierre Vesperini, abbiamo gli italiani, rappresentati da Alberto Bagnai, Claudio Borghi Aquilini, Giuseppe di Taranto e Antonio Rinaldi (per limitarsi ai professori), i tedeschi come Hans-Olaf Henkel e Alfred Steinherr, gli spagnoli come Juan Francisco Martín Seco e Antoni Soy, i britannici come Brigitte Granville, Peter Oppenheimer e Christopher Pissarides della London School of Economics, un ex sostenitore dell’euro, e per farla breve, come avrebbe detto Victor Hugo, “ne tralascio alcuni, e tra i migliori”. In Francia Lordon F., con La Malfaçon, op.cit., è il primo ad avere preso posizione pubblicamente, ma si notino anche L. Faibis e O. Passet, « L’euro pour tous et chacun pour soi : le nouveau débat interdit », Les Échos, 23 dicembre 2013,http://m.lesechos.fr/idees-et-debats/le-point-de-vue-de/l-euro-pour-tous-et-chacun-pour-soi-le-nouveau-debat-interdit-0203193619902.htm


[6] Con la creazione di un partito “anti-euro”, AfD, ma anche con la posizione presa da Oskar Lafontaine.

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