Manifesto

NON C'E' PIU' TEMPO

Il nostro Paese sta declinando. Le rassicurazioni e l'ottimismo di facciata dei nostri politici al governo non possono nascondere questo semplice fatto: l'Italia è avvitata in una spirale di crisi che la sta portando al crollo economico ed alla distruzione del nostro comparto produttivo; ma la crisi italiana è incomprensibile se non viene agganciata al discorso più ampio della politica economica che l’Europa ha perseguito e continua a perseguire. Le ragioni della crisi, infatti, sono in minima parte dovete a storture ed inefficienze del “sistema Italia”, sistema che peraltro alla fine degli anni ’90 ci permetteva di crescere quanto e più della efficiente Germania; esse trovano la loro ragion d’essere nell’affermarsi, fin dai primi anni del secolo attuale, di una filosofia politica ed economica che si riaggancia al liberismo degli anni ’80, a visioni economiche addirittura pre-keynesiane, che fanno del laisser-faire dei mercati il loro marchio distintivo.

L’aggancio ad una moneta unica, che ha fatto seguito alla piena liberalizzazione dei movimenti di capitale, è stato funzionale a questo sistema: i grandi investitori finanziari si sono visti spalancare la possibilità di far affluire sempre più crescenti quantità di liquidità in paesi, come quelli della periferia dell’Eurozona, che ne facevano richiesta, senza dover più subire il rischio di cambio, per finanziare investimenti e consumi, guadagnando sulla differenza dei tassi di interesse, sempre presente seppur minima, fra tali paesi e quelli ad economia più matura del Centro/Nord Europa. Questi ultimi, con politiche di repressione salariale, si sono costruiti una competitività, anch’essa non più minacciata da svalutazioni difensive da parte dei paesi del Sud Europa, che ha permesso loro di esportare a prezzi imbattibili, peggiorando la bilancia dei pagamenti dei paesi periferici e creandosi un surplus finanziario che a sua volta è stato reinvestito in prestiti agli stessi paesi del Sud già in difficoltà. Ciò è durato fino all’arrivo di uno shock esterno (crisi dei derivati americani) che ha portato al “suddenly stop” del flusso dei finanziamenti, al crollo delle economie “drogate” da questi, all’intervento dello Stato per salvare i privati indebitati (soprattutto le banche), alla conseguente esplosione del debito pubblico ed alla attuale “socializzazione delle perdite” con manovre “lacrime e sangue” per rientrare dai debiti.

Il progetto liberista, di cui l’euro è lo strumento di attuazione, è un progetto essenzialmente politico ed è volto alla conservazione del potere da parte della classe dirigente finanziaria e imprenditoriale, anche di quella dei paesi periferici del Sud Europa. La perdita di competitività delle merci prodotte dai paesi del Sud, non potendo essere compensato da una svalutazione monetaria, che recuperi il differenziale di prezzo con quelle prodotte dal Nord, viene riequilibrato attraverso la svalutazione reale del costo del lavoro, ovvero con la diminuzione in termini monetari dei salari dei lavoratori. I lavoratori che vogliono un impiego sono costretti ad accettare condizioni di lavoro peggiori e salari più bassi, perché non ci si può più permettere i diritti ed i compensi goduti dalle generazioni precedenti; la chiusura di attività che non riescono a reggere la concorrenza dell’estero aumenta la disoccupazione e così favorisce la crescita di un bacino di lavoratori disposti ad accettare condizioni peggiori pur di lavorare. Tutto ciò permette alla grande impresa di “tenere in riga” i lavoratori, i quali non hanno più la forza contrattuale per migliorare la loro condizione ed impedisce la ridistribuzione dei ricavi verso i salari, favorendo i margini di profitto.

Su questa realtà si è innestato poi il sempre presente tentativo di egemonizzazione a livello europeo della Germania sul resto d’Europa. Tutte le politiche monetarie e fiscali indicate ai paesi del Sud dalla BCE e dalla Commissione europea sono il frutto della volontà tedesca di dettare regole a suo favore e l’approvazione dei vincoli fiscali e di bilancio approvati dagli stati Periferici (ma non dalla Germania che pur li aveva propugnati…) sono stati un consegnarsi mani e piedi ad un governo sovranazionale non eletto, pesantemente influenzato dalla presenza di funzionari soprattutto tedeschi, austriaci ed olandesi nei posti chiave.

Questo complessivo progetto liberista e neo-coloniale sta demolendo in pratica, ma anche con modifiche agli articoli, come l’art. 81 Cost., tutto l’impianto costituzionale di garanzia e di tutela di diritti considerati dalla nostra Carta, ma anche e soprattutto dalla nostra società civile, come inalienabili per lo sviluppo sociale dell’uomo. Sotto il ricatto di situazioni economiche sempre d’emergenza e di crisi è in atto uno smantellamento del nostro “contratto sociale”, una regressione a condizioni precedenti allo Statuto dei Lavoratori del 1970, una erosione di fondamentali diritti pubblici acquisiti, come il diritto alla salute, all’istruzione, alla crescita sociale, se non addirittura all’uguaglianza. I governi che si sono succeduti, da Monti a Letta, sono complici, volontari od involontari, di questa regressione, spacciata con il nome di "riforme strutturali", ed evidentemente non vogliono o non sono in grado di contrastare questa pericolosa tendenza.

Per noi lavoratori dipendenti, imprenditori, professionisti, commercianti, in una parola per noi cittadini che siamo tutti uniti dal fatto di subire questa situazione economica, è ora di agire: non c'è più tempo.

Se vogliamo che i nostri figli e le generazioni future possano ancora godere della libertà e dei diritti che le generazioni passate hanno conquistato con il sudore ed a volte con il sangue esiste solo una strada percorribile e deve essere percorsa subito e senza tentennamenti: tornare a rispettare gli impegni e gli obblighi che sono sanciti nella nostra Costituzione, impegni e obblighi che devono essere prioritari per l’azione di qualsiasi governo e, per far questo, uscire dall’euro ovvero dall’Eurozona (che non va confusa con l’Europa, alla quale apparteniamo per ragioni geografiche, culturali e storiche), recuperare la nostra politica monetaria, rilanciando le esportazioni e quindi l’economia, e riprendersi la sovranità della Banca dItalia, perché aiuti e non contrasti l’interesse dello Stato ad un equo finanziamento, per poter a sua volta finanziare l’attività privata e rilanciare anch’essa l’economia, i redditi ed i consumi. Solo a quel punto, recuperato il controllo delle leve monetarie e fiscali e riportata l'Italia verso un circolo virtuoso di sviluppo ed occupazione, potranno essere affrontate quelle distorsioni, quelle carenze che storicamente segnano il nostro cammino, quali l'inefficienza dell'allocazione delle risorse pubbliche, l'arretratezza di alcuni comparti produttivi, l'inutile e dannosa burocratizzazione delle procedure per svolgere impresa, la carenza di infrastrutture e la qualità ed il costo dell'azione politica: occuparsene adesso, nel momento in cui siamo stretti in vincoli tanto soffocanti quanto incoerenti ed economicamente infondati che hanno depresso le nostre esportazioni, distrutto la domanda interna, privato le imprese dei finanziamenti e riportato il nostro reddito ai livelli di vent'anni fa, sarebbe, come efficacemente è stato detto, preoccuparsi della porta che cigola mentre la casa va a fuoco...

Tutte le altre soluzioni che ci vengono prospettate, da un salario di cittadinanza, alle riforme strutturali per renderci credibili ai mercati e poterci finanziare a tassi più bassi, ai tagli alla spesa pubblica per finanziare sgravi fiscali, sono falsi rimedi che non fanno che peggiorare il male, come finora è puntualmente successo, errati in via teorica e pratica e figli di quel liberismo economico che riteniamo sia incompatibile con l’esplicazione di una vera democrazia liberale occidentale.

Il movimento Democrazia e Sovranità in questo quadro di emergenza intende compiere un'opera di sensibilizzazione e divulgazione dei problemi reali e delle possibili soluzioni che sia propedeutico alla formazione di una opinione pubblica cosciente ed informata che possa sostenere un futuro partito realmente anti-euro e con un programma a favore del popolo italiano. Queste sono le nostre caratteristiche:

1. Un movimento apartitico

Lo scopo di Democrazia e Sovranità è quello di informare: vogliamo raggiungere con tutti i mezzi che potremo utilizzare più persone possibili, per sensibilizzarle alle tematiche espresse nel manifesto, per contrastare la disinformazione e la propaganda che ancora imperano, per formare una coscienza pubblica di quello che sta accadendo sopra le nostre teste, ma che ricade sulle nostre spalle.
Non siamo seguaci di alcun partito, sia di destra, che di sinistra, che di centro o altro, poiché in Italia tutti i partiti sono PUDE (Partito Unico Dell'Euro), in quanto concordi e complici nel perseverare finora in un europeismo che ci sta portando al disastro economico. Non siamo neppure simpatizzanti di movimenti estremisti, che siano collocati a destra o a sinistra, anche se dobbiamo rilevare che a volte, sull'euro e l'eurozona, vengono dette verità, scomode agli altri partiti; ciò non toglie che questi movimenti spesso hanno ideologie razziste o totalitarie o nazionaliste (nel senso deteriore del termine) che non ci appartengono e che non apprezziamo.
DeS è un movimento democratico per la difesa della Costituzione e dei suoi principi di libertà, tolleranza e giustizia sociale, che il liberismo economico cerca di attentare, con la complicità della classe dirigente.

2. Un movimento che divulga teorie economiche serie

Questo è un punto molto importante: per fare un'opera di divulgazione corretta, che dia delle risposte serie ai quesiti della gente, che faccia capire gli errori del passato e del presente, che mostri delle soluzioni per il futuro, non si può dire semplicemente che basta uscire dall'euro o sostenere che basta stampare moneta; nel primo caso si darebbe l'idea (falsa) che tale uscita risolverebbe di colpo ed in maniera indolore tutti i problemi, cosa che non è: nel secondo si darebbe l'illusione della moneta come reddito per tutti e soluzione a tutti i problemi di povertà. Non basta essere sovranisti per dare una ricetta economica valida.
DeS fa riferimento al pensiero economico internazionale più autorevole (Stiglitz, De Grauwe, Sapir, Krugman fra gli altri), così come all'opera di elaborazione e divulgazione di importanti economisti italiani, come Bagnai, Borghi Aquilini, Rinaldi, Cesaratto ed altri.

3. Un movimento aperto a tutti

DeS nasce dall'impegno e dalla passione di cittadini che non sono professionisti, né della politica, né dell'economia, ma che, con studio ed applicazione, si sono formasti delle conoscenze che intendono mettere a disposizione degli altri. Tutto il materiale come documenti, grafici, tabelle è pubblico ed utilizzabile da chiunque, con i limiti del riconoscimento della provenienza di tale materiale, così come i post e gli estratti. Conseguentemente il movimento accetta ed auspica collaborazioni da parte di chiunque seriamente interessato a condividere le proprie conoscenze per arricchire l'informazione ed il dibattito ed è pronto ad accogliere simpatizzanti, qualunque orientamento politico personale abbiano, nei soli limiti dell'accettazione dei principi fondanti di DeS. Per il movimento non esistono destra, sinistra, centro, sopra o sotto: questa è un'associazione di liberi cittadini interessati alla difesa dei principi fondamentali della Carta Costituzionale, che auspica il ritorno al pieno controllo delle politiche monetarie e fiscali da parte dello Stato e che, a questo scopo, cerca di informare correttamente sui benefici che questo ritorno avrebbe per la nostra economia e per la nostra società.

Se vi riconoscete in questo manifesto e ritenete di poter dare il vostro apporto fatevi avanti!

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